Quando si dice morir dal ridere

Cari amici Lettori, poche cose a questo mondo mi rendono felice più delle esibizioni circensi. Non si tratta di infantilismo, come qualcheduno si premurerà di insinuare, innanzitutto perchè ho avuto il privilegio qualche anno fa di farmi esaminare e misurare la scatola cranica dal chiarissimo professor Lombroso. Il parere del valente ricercatore torinese è stato cristallino: non sono portatore di alcun segno di devianza o malvagità d’animo di sorta. Unico difetto, se vogliamo chiamarlo in tal modo, lo zigomo sinistro leggermente più accentuato rispetto al destro, indicante una certa tendenza all’ardore fisico nei confronti delle figure dominanti, ed a questo proposito debbo confessare che il ricordo della mia tata tedesca Frau Schnellinger che alza lo scudiscio sulle mie bianche natiche infantili, punendomi per aver deposto le deiezioni pomeridiane nell’androne del palazzo, mi provoca ancor’oggi un malizioso solletico lungo la spina dorsale.
Ritornando a bomba, tra i vari esilaranti esempi di spettacoli circensi a cui ebbi negli anni il piacere di assistere va senz’ombra di dubbio citato Il più grande spettacolo del mondo del purtroppo recentemente scomparso per infarto Phineas Taylor Barnum. Ricordo ancora le grasse risate che riempirono il tendone durante le esibizioni dell’elefante Jumbo, nativo del sudan francese, e del “grande” piccolo Commodoro Nutt coi suoi 36 pollici di statura.

Come sicuramente ben sapete entrambi questi campioni dell’ilarità sono spirati una decina d’anni or sono in situazioni molto diverse. Il buon Jumbo venne travolto da una locomotiva nel lontano Ontario, si dice per salvare un piccolo elefantino di nome Tom Thumb; un forte attacco di nefrite invece portò via il piccolo commodoro, sparito da un giorno all’altro con la stessa velocità con cui sgattaiolava tra le gambe delle ballerine. Sempre all’insegna dell’estremo divertimento furono anche le esibizioni del Wild West Show di William Frederick Cody in arte Buffalo Bill che si esibì con grande fortuna un paio d’anni fa anche nell'italico Regno durante una tournee europea. Quanta felicità provai nel vedere il famigerato Toro Seduto che, indovinate un po’, sedeva col suo calumet tra i suoi guerrieri. Il grande capo indiano cantò e ballò rallegrando tutto il pubblico. Che piacere ho nel ricordarlo oggi, ad un anno dalla sua dipartita nelle praterie celesti, ucciso da una pattuglia di polizia durante una rissa scoppiata nella riserva indiana in cui viveva.
Insomma, il circo in questi anni mi ha regalato gioie ogni qual volta ho avuto il piacere di recarmi in quei tendoni, scrigni di tesori del buon animo, e anche iersera la tradizione non si è spezzata. Tra i clown, le bestie, i saltimbanchi, i trapezisti, uno sopra a tutti ha esaltato la platea: il nano Bagonghi, stella del circo italico. Il Bagonghi, all’anagrafe Andrea Bernabè, mi ha divertito, mi ha emozionato e mi ha un pochino spaventato quando è atterrato male alla fine dell’ennesimo salto mortale. Un piccolo cric è uscito dalla sua erculea gambetta e il leggero dolore lo ha costretto ad interrompere la sua esibizione, con le lacrime agli occhi per la delusione di non poter salutare personalmente ogni uno dei suoi ammiratori. Sono sicuro che il nostro Bagonghi ora sta sorridendo al capitombolo e già domani tornerà a saltellare e far giravolte per noi amanti del circo, fanatici del più grande spettacolo del mondo che mai verrà soppiantato da alcun’altra forma di intrattenimento.

Mastro Ciliegia, 15 novembre 1891.

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