Baggianate d'Oltremanica.
Il Piede alla Balla



La mente sana sta in un corpo sano, come ci insegnano gli antichi. Cosa si debba intendere con questa idea di sanità è tuttavia una questione spinosa, non priva di possibili equivoci. Ero l'altrieri a discorrere con un tale Edoardo Bosio, che fornisce tutta Torino di mutande e mutandoni e che tra le sue passioni ha quella di praticare attività ginniche di varie sorti.
Il Bosio ha trascorso del tempo in terra albionica, a imparare l'arte della tessitura e, mi duole dirlo, la permanenza tra le nebbie di quella umida contrada deve avergli dato alla testa, con conseguenze che definire grottesche è dir poco. Girellando per le fumigate vie di Nottingham era venuto infatti in contatto con alcune losche masnade di personaggi che passavano la loro giornata a correr dietro a sfere rotolanti. Le dette sfere venivano – a quanto pare – condotte in su e in giù per un rettangolo erboso, con lo scopo di ficcarle, a pedate, entro il limite di un bersaglio costituito da due pali da giardino, uniti da una sorta di sbarra di legno messa di traverso a chiuderne il limite superiore.
Per quale motivo degli uomini fatti e finiti debbano provare diletto in simile attività è cosa vieppiù misteriosa. Ma se non v'è poi da stupirsi troppo di scoprire tra i sudditi della pugnace regina Vittoria abitudini così bizzarre, mi pare preoccupante che si cerchi di portare nella nostra terra - che ha dato i natali al grande Milone di Crotone, supremo forzuto e primo ispiratore del culto ginnico, e a molti altri atletici personaggi - intrattenimenti così indecorosi. Da un paio d'anni, spalleggiato anche da alcuni indegni esponenti della nostra nobiltà, il Bosio, autentica serpe in seno all'amata società di canottaggio Armida, ha cercato di convertire gli animi piemontesi alla pratica dell'attività appresa nei bassifondi inglesi.
Ma ora la soglia della decenza pare in procinto di esser varcata.


Ebbi infatti a discutere vivacemente col Bosio, e con un suo amico britanno, tale Kilpin, che si dissero intenzionati a creare proprio a Torino un club di praticanti di questo giuoco, che viene chiamato, indecentemente, Football, cioè Piede alla Balla. I miei tentativi di distogliere i due da quel loro intento sono stati vani, e temo che proprio in queste settimane si siano recati dal Notaio Alloprotti per dar seguito -  a colpi di timbri e sigilli - alla loro sciagurata idea. Chiamo dunque da queste pagine a raccolta i difensori delle arti ginniche italiche, perché si dispongano a schiera rampante e vadano a guastare i piani britannofili del Bosio, impedendo la fondazione nella capitale d'Italia di un simile club di mammalucchi.
Son certo che fra qualche tempo di questo Piede alla Balla nessuno avrà più memoria, e i nostri atleti, fin dalla più  tenera età, andranno a praticare le autentiche arti corporali italiane: il pancrazio, il cibè e il nobilissimo giuoco romano del follis.

Saturnino Farandola, 25 settembre 1891

2 commenti:

  1. Mastro Ciliegia09:40

    Mi par d'aver colto dalla lastra fotografica che codesti fannulloni imbranati pratichino i loro giuochi in mutande all'aperto e in pubblico. Ma dico io, siamo ammattiti?! A causa di questi sudici figuri dovremo esser costretti a richiuder nelle loro stanze, con le scuri inchiodate, le nostre madri, mogli, figlie, zie e nonne per timore che possano inavvertitamente posare l'ingenuo occhio su indegni panorami?
    Avessi ancora sottomano la sciabola dei giorni passati da Granatiere farei vedere a questi cosiddetti signori qualche bel colpo di uno dei pochi giuochi che ho praticato da adulto, la scherma. Taglierei di netto la balla che calciano e il filo delle loro culotte cosicchè se ne tornino a casa correndo per Torino, rossi di vergogna, ignudi, con le natiche all'aree.

    Le porgo le mie più vivissime scuse caro Farandola se ho preso spunto dal suo bell'articolo per questo sfogo e colgo l'occasione per ricordarle che a breve si svolgeranno le gare della coppa Principe Amedeo della Reale Accademia della Cirimela, a cui io da presinedente mi onoro come ogn'anno di invitarla anche se Lei, a causa delle antiche origini venezian-friulane della sua casata, si ostina amichevolmente a chiamare la nostra amata cirimela, cibè.

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  2. Anonimo10:41

    Grazie delle sue parole, onorevolissimo Mastro, ma debbo dire che la sua attenzione filologica mi riporta alla mente una situazione di gran dolore. La parola Cirimela non può non farmi pensare al giorno in cui, per un mal diretto colpo del bastone, andai a pigliare in un occhio un monello che si ostinava a zuzzurellare attorno al campo da giuoco. Per sottrarmi alle ire dei genitori del novello orbo dovetti per un certo tempo riparare in un casolare non troppo distante da Venezia, ospitato come lei ricorda bene da alcuni miei parenti. Fu proprio lì che imparai a dare il nome di cibè alla cirimela. Spero che lei saprà comprendere come troppi dolorosi ricordi si evochino in me nell'usare quel termine in torinese schietto. E da questo saprà per qual motivo sia restio a rispondere al suo invito alla Real Accademia. Oh giorni in cui si poteva orbar un fannullone senza troppi problemi, o libertà lontana...
    Saturnino Farandola

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