Friedrich Nietzsche e il Super-Amico

La scorsa settimana abbiamo avuto l'onore di intervistare, sorseggiando una grappa al Caffè degli Specchi di Trieste, il celeberrimo professor Julius Langbehn, amico e collaboratore di Friedrich Nietzsche, famoso filosofo autore della teoria del Super-Uomo.
Riportiamo letteralmente la chiacchierata avuta col professor Langbehn sulla sorte e il passato del suo sfortunato connazionale.

Chiarissimo professor Langbehn i lettori sanno che lei ha assistito per un periodo il filosofo allemanno Friedrich Nietzsche. Ci dica innanzi tutto, come sta il nostro caro Nietzsche?
"Eh... - il Langbehn scuote e china il capo con costernazione - purtroppo non bene. Sono stato a Jena nel mese di novembre e mi sono recato nella clinica per malattie nervose dove il caro Friedrich è ricoverato. Ho potuto accompagnarlo in alcune passeggiate nei giardini della casa di cura ma dopo qualche tentativo Nietzsche stesso, non ha più voluto vedermi. Pensi che continuava a chiedermi chi fossi. Io gli rispondevo che ero il suo caro amico Julius Langbehn e che volevo solo stargli vicino, ma niente. Lui mi guardava con occhi sconosciuti, aveva persino paura di me."
Esimio professore, sappiamo che lei ha studiato storia dell'Arte ed in particolare i manufatti del popolo Tuca Tuca del Madagascar all'Università di Monaco in Baviera, eppure non conosciamo nulla dei suoi rapporti con Nietzsche precedenti alla malattia. Ci può dire qualcosa al riguardo?
"Conobbi Nietzsche a Lipsia tre anni fa, nel 1886, quando frequentammo insieme le lezioni del professor Rohde. Naturalmente in quel tempo mi guardai bene dal presentarmi a lui. Egli era già famoso e io ero solo un promettente studioso, per cui mi limitavo a guardarlo da lontano e inviargli bigliettini di ammirazione."
Avevate quindi conoscenze comuni in ambito accademico che favorirono i vostri contatti?
"No. Diciamo che, in quel periodo, all'Università di Lipsia non godevo di grande fama. Mi limitavo ad infilare note e appunti sui suoi lavori nelle tasche dei suoi cappotti incustoditi e nelle tasche della sua cartella, ma senza farmi notare naturalmente."
Certo, qui in Italia li chiamiamo peccati di gioventù, ma allora quando effettivamente incominciaste la vostra collaborazione intellettuale?
"Dunque. Quando il povero Friedrich partì da Lipsia decisi di seguirlo. Lo seguii in Engadina, in Liguria, dove ebbi modo di affinare la vostra lingua, Nizza, Zurigo e molte altre città d'Europa. Continuai a seguire i suoi viaggi e contemporaneamente i suoi lavori. Pur non volendo intralciare con la mia ingombrante presenza il suo lavoro avevo preso a scrivergli tutti i giorni ma, come tutti sanno, il suo cosiddetto super-lavoro gli impediva costantemente di trovare il tempo per rispondermi."
Ma scusi, allora lei e il professor Nietzsche non aveste mai un diretto contatto?
"Ma cosa dice? Certo che sì! Eravamo divenuti così amici che organizzavamo insieme molti scherzi. Pensi che io più volte mi sono mascherato da Nietzsche e sono andato in giro per le vie delle città facendomi passare per lui. Ammiccando alle signore e proclamandomi di volta in volta Papa, Re o Imperatore d'Austria. Una volta pensi che ci burlammo addirittura di sua madre e del suo editore. Lui faceva finta di niente, anche quando lo incrociavo nei corridoi degli alberghi pur di non dare nell'occhio e farci così scoprire ci ignoravamo a vicenda."
Questo degli scherzi è un lato della personalità di Nietzsche che non conoscevamo. Ci dica di più.
"Certo, Nietzsche era un gran burlone prima della malattia. Un mattacchione come dicono i torinesi. Ricordo che quando recitai quella scenata incredibile in piazza Carlo Alberto a Torino, abbracciando il cavallo di Napoleone, Nietzsche rimase al gioco e non mi rimproverò. Persino quando, a suo nome, scrissi per scherzo diverse lettere alquanto colorite ad alcuni conoscenti non mi criticò assolutamente ed anzi penso che si fece una grossa risata da marpione qual'era. Erano proprio bei tempi. Se ripenso all'incredulità nei suoi occhi quando gli infermieri lo portarono via..."

A queste parole lo sguardo del professor Langbehn, l'amico di Friedrich Nietzsche, ma in fondo l'amico che tutti vorremmo avere, si rabbuiò di colpo. Il capo si fece di nuovo chino e, per darsi coraggio, si strinse tra le braccia dondolando sulla sedia e mormorando ripetutamente a bassa voce la frase: "Friedrich, meine liebe, perchè sei andato via?".

Mastro Ciliegia, 22 dicembre 1890.

1 commento:

  1. Anonimo11:39

    Protesto, protesto vibratamente! Non più tardi di ieri inviai una missiva di commento a questa notizia. Non ho tuttavia visto la mia lettera pubblicata. Non oso pensare che la vostra proditoria omissione sia dovuta al boicottaggio di cui sono stato oggetto in questi tempi. La settimana scorsa la mia carrozza ha avuto il tettuccio squarciato e da due mesi circa il giornale a cui sono abbonnato, "Lo squillo del filatelico" arriva imbrattato di fanghiglia. Riassumo comunque brevemente quanto avevo scritto ieri. Il Nietzsche lo conobbi qualche tempo fa, a Torino. Io, lui, Temistocle Garrone e Artemisio Gambarotta andavamo lungo il Po' a far saltare i sassi sul pelo dell'acqua. Introducemmo anche in città il giuoco del pallone (che appresi a Manchester), nel quale il caro Nietzsche eccelleva, dimostrando ottimo opportunismo e rapidità di piede. Le confido anche che il carrettiere proprietario del famigerato cavallo era un altro compagno di partitelle a Stupinigi: si trattava di un ex granatiere sardo, un certo Gavino Cuccureddu.

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